Il Commendatore Vitale Barberis Canonico è nato nel 1901. Tutti i suoi fratelli erano ancora “ottocenteschi”, mentre lui è stato un uomo del Ventesimo secolo: l’alba di entrambi corrisponde. Veniva al mondo mentre l’azienda di famiglia si apriva al mondo. Alla guida dell’antico lanificio di Pratrivero (la fabbrica di oggi non esisteva ancora) c’erano i fratelli Giuseppe (1860-1938), padre di Vitale, e Valerio.
Quando Vitale muoveva i primi passi, i filati e i tessuti Barberis Canonico percorrevano già grandi distanze lungo vie che il commercio aveva aperto verso l’Italia e anche verso quegli italiani che avevano lasciato la patria, ma non l’italianità.
In quell’esordio di secolo nuovo, c’erano clienti in Piemonte, come Donato Levi di Torino (quel Donato Levi, tra i primi, se non il primo a produrre abiti confezionati in Italia, precorritore e cofondatore del celebre GFT Gruppo Finanziario Tessile che fu poi dei Rivetti), c’erano clienti in Italia, da Ancona a Lecce, da Firenze a Catania, da Milano a Palermo e tanti sarti napoletani. C’erano clienti all’estero, come Antonio Gerli di Buenos Aires.
Antonio Gerli (1867-1942) merita una pagina tutta sua. Anzi un intero romanzo di genere: quello dell’italiano coraggioso che parte all’avventura e con le sue sole forze fonda un impero. In Argentina – a sud di Buenos Aires – c’è una città che porta il suo nome, e basta questo per farsi un’idea della rilevanza che ha avuto quell’imprenditore di origini milanesi emigrato nel 1890 nella storia argentina. Per tramite di un grossista genovese, Vitale Pavia, i filati pratriveresi arrivavano fin laggiù. Nel 1903 furono svariate migliaia di chili. Cotone bianco, per lo più, filato al titolo 6.000 metrico.
Le relazioni commerciali con il Sud America, ma anche quelle assai più in prossimità con Anselmo Giletti di Ponzone o con Giuseppe Botto di Valle Mosso, raccontano una Barberis Canonico agile, flessibile, multitasking. Filare e tessere in proprio, con una rete di vendita ben strutturata, ma anche lavorare conto terzi per produrre semilavorato o prodotto finito. Tanto in lana quanto in cotone, spesso mescolando i due ambiti merceologici. Una buona strategia.
I panni lana-cotone, come il diffusissimo Truppa, avevano un mercato nazionale più che redditizio. Il Truppa (che Barberis Canonico offriva in mezza altezza, normale o doppia) era un tessuto a tinta unita, chiaro o scuro, di discreta qualità, piuttosto resistente e, soprattutto, di prezzo contenuto. La richiesta non mancava, sia da parte di sarti con clientela desiderosa di acquistare capi d’abbigliamento durevoli, sia da parte di amministrazioni ed enti pubblici (i comuni, le ferrovie, le poste ecc.) che cercavano di dotare i propri dipendenti di abiti (per lo più divise) da non sostituire ogni anno. Oggi la virtù di questo principio è enfatizzata come una “scoperta” recente, ma gli archivi insegnano che c’è poco da inventare. Anzi, spesso ancor oggi il passato rappresenta la miglior risorsa creativa per il futuro.
Velina di una copia lettera.
Tutte queste notizie provengono da un unico libro copialettere (conservato nell’Archivio del Lanificio Vitale Barberis Canonico) che fa riferimento a quel periodo frenetico che annunciava il Novecento come il secolo della velocità. Il progresso ottocentesco si tramutava in rapidità futurista, in segmentazione cubista e in bizzarria surrealista. Si poteva cavalcare l’onda o cercare di tenere la barra dritta per timonare un mercato sempre più globale e sfidante. La scelta della concretezza, senza rinunciare allo stile, poteva premiare e ha premiato.
Barberis Canonico produceva stoffe come il Circas o Circass, in pura lana cardata (filata a titoli compresi tra l’8.000 e il 10.000), che andava benissimo. Probabilmente il suo nome derivava dall’armatura a circasso (come a dire una saia reversibile a quattro legami, di norma finita senza pelo), con tutte le sue caratteristiche di pienezza, resistenza e solidità. Salomone Dello Strologo di Livorno ne comprava chilometri, quasi sempre nelle stesse tinte classiche ed eleganti (il marrone caffè e il nero su tutte).
Le veline fruscianti del copialettere svelano segreti di mondi e di tempi lontani dai nostri, ma a volte non così tanto. Il buono, come il bello, non invecchia mai. E viene sempre il momento di recuperare il sapere antico per rielaborarlo nell’attualità. Come certi vecchi cappotti che stanno nell’armadio per decenni, finché non arriva anche per loro la stagione del ritorno e della consapevole rievocazione che distingue lo stile senza tempo delle cose belle fatte per durare…