All’inizio del Novecento, Berlino non era ancora la Babilonia decadente degli anni Venti. Era la capitale dall’anima prussiana, ma gaudente e ricca, dell’Impero tedesco, di quel Secondo Reich che sarebbe crollato dopo la sconfitta nella Grande Guerra. Tra il 1912 e il 1914 Berlino si stava espandendo rapidamente. Da lì a qualche anno sarebbe diventata la seconda città del mondo per estensione e la terza per abitanti. C’erano metro, palazzi, negozi, fabbriche, chiese, caserme, locali alla moda, zoo, musei, sinagoghe. E campi da tennis.
Il colore del tennis è il bianco. Spicca sulla terra rossa e sull’erba. I tennisti sono atleti di marmo, statue dinamiche, danzatori futuristi che il bianco fa stagliare sullo sfondo. Da sempre, chi gioca a tennis, predilige il bianco dei tessuti di cotone, aderenti ma morbidi. Anche a Berlino nei primi anni Dieci.
Sui campi berlinesi di quel periodo si indossavano capi in côteline, rigorosamente candidi, ma ritmati da fili colorati. Alcuni campionari storici dell’Archivio VBC tramandano la storia di un ignoto tessitore francese che riforniva i berlinesi con le sue côteline. Tutte bianche, tutte variazioni sul tema. Ed era una piccola moda: i tennis club, come tutti i club, hanno da sempre un dress code. Chi li frequenta, che giochi oppure no, deve mostrare un abbigliamento adeguato, come se una partita attendesse o fosse appena finita. La tenuta in côteline era quella giusta anche per i non giocatori, anche per i soci troppo anziani o troppo pigri per scendere in campo, anche per coloro che non avevano confidenza con palline e racchette. Il tennis club è un mondo a sé. Anche a Berlino nei primi anni Dieci.
Bastava dare un’occhiata in Gelieustraße, dalle parti del Giardino Botanico, lungo la strada per Potsdam. Lì, nel 1913, veniva fondato lo Steglitzer Tennis Club. Sul sito Internet della società, tuttora in esercizio, si legge che se la danza fosse stata riconosciuta come uno sport ufficiale nel 1913, il club non sarebbe stato costituito. Infatti, l’idea venne a otto ballerini che volevano impiegare il periodo estivo, nel quale non si danzava, per mantenere le loro condizioni fisiche con un’altra attività sportiva. Il tennis era lo sport ideale: impegnativo, ma non troppo traumatico, fatto di corse, rotazioni e salti, come il ballo. Le fotografie dell’epoca tramandano il candore delle “divise”. Forse qualcuno di quei tennisti indossava côteline francesi.
E che dire di Roman Najuch (1883-1967) e di Otto Froitzheim (1884-1962), i grandi campioni tedeschi di quei tempi (il primo si aggiudicò la Coppa di Germania nel 1913 e nel 1914, il secondo vinse la World Hard Court Championships a Parigi nel 1912). Anche loro vestivano magliette e calzoni in côteline? Sotto i gilet o i cardigan di cotone o lana, a trecce o a coste (anche loro…), portavano l’immancabile bianco brillante, fino agli scarpini di pelle.
Da un “Bollettino” della “Société industrielle de Saint-Quentin et de l’Aisne” del 1904 si apprende che “on appelle côteline, un tissu toile sur lequel un gros fil, ou plusieurs travaillant ensemble, simulent en hauteur une espèce de petite côte”. La côteline nasce come tessuto per arredamento, ma se prodotto con fili più leggeri e con una compassatura meno densa, la stessa stoffa è più che adatta per essere indossata ed è unisex, perché il tennis, dal punto di vista cromatico, non tiene conto del genere, dell’età, della provenienza ecc. Il tessuto di trama semplice, appunto una tela, è movimentato da uno o più fili in rilievo che gli conferiscono l’aspetto a coste, a fasce accostate. Oppure il medesimo tessuto si presenta segnato da “rayures” che lo incidono, ma sempre con lo stesso ritmo. Le côteline che piacevano ai tennisti berlinesi di quegli ultimi anni di pace si presentano così: il fondo bianco con “solchi” diagonali regolari, e filetti (singoli o doppi) di colore blu, marrone, nero e verde a scandire le coste verticalmente.