Nell’Archivio Storico del Lanificio Vitale Barberis Canonico si conserva una particolare lastra litografica. Una pietra speciale, un blocco di calcare compatto su cui un abile artigiano ha lavorato con la matita grassa per riprodurre, invertita, un’immagine che tramanda una storia. La litografia, realizzata dalla celebre ditta Almasio di Intra (notissima tra i collezionisti di cartoline postali illustrate), costituiva la matrice per il “fregio” iconografico di una carta intestata. Come accadeva spesso, un tempo, le aziende, non solo quelle tessili, sceglievano di raccontarsi attraverso una raffigurazione del proprio stabilimento. C’era orgoglio e un po’ di indulgenza nelle dimensioni nelle carte intestate (sovente anche le piccole fabbriche assumevano proporzioni “considerevoli”, quando non del tutto inverosimili), ma tenute in conto anche le eventuali esagerazioni, quasi sempre i fregi litografici rappresentano documenti interessanti. Come in questo caso, dove la rappresentazione del lanificio di allora appare piuttosto fedele.
La carta intestata sulla pietra litografica
La litografia è priva di data, ma databile con buona approssimazione. Non si può indicare un giorno o un mese o un anno specifici, ma è possibile definire un periodo di massima, ossia tra il 1921 e il 1931. Anzi, per maggior precisione, tra il 1921 e il 1927. Quello era un tempo “sospeso” – ma allora nessuno poteva saperlo – tra le due guerre mondiali. Il mondo offriva ricordi terribili e nuove speranze. La moda seguiva la voglia di futuro e i colori caldi dei panni morbidi suggeriscono sobria allegria e fiducia. Con la Grande Guerra alle spalle, gli uomini intravedevano possibilità e prosperità. Era il momento di costruire.
Questo devono aver pensato Guglielmo e Luigi Barberis Canonico. La litografia parla di loro. Allora perché si trova qui? Prima di rispondere a questa domanda è opportuno dare un’occhiata all’immagine. Si tratta di una “fotografia” ricca di dettagli e di spunti di riflessione. Ma per coglierli è meglio osservarla non più al rovescio.
Adesso che è stata capovolta, che cosa si vede? In basso la strada che da Ponzone sale a Trivero, l’attuale via Diagonale. Al centro, lo sviluppo dei fabbricati che, in gran parte, non esistono più, o hanno cambiato radicalmente aspetto. Tuttavia, si intuisce la sagoma dell’odierno stabilimento che forma, oggi, un fonte continuo dove ieri un ampio cortile divideva i due nuclei di antica formazione. Ma se si considera con più attenzione, tuttora si percepisce la linea spezzata all’altezza dello spigolo della muraglia evidente nella litografia. All’epoca, tale segmentazione era piuttosto marcata, e non per caso. Ecco, questo è un punto importante, perché la carta intestata presenta una ditta sola, mentre i nuclei che si vedono sono due… anzi, tre. Il primo a sinistra è quello più vetusto. Le quattro campate a shed addossate al caseggiato di stampo ottocentesco testimoniano un primevo adattamento dell’edificio originario, attorno al 1890. La storia industriale dei Barberis Canonico inizia tra quelle mura che sanno di casa, più che di fabbrica. Da notare che il primitivo stabilimento aveva un cancello proprio, un muro di cinta, un’area a se stante. Lì aveva imparato il mestiere e l’aveva messo a frutto il vecchio Giuseppe Barberis Canonico che, nel 1908, aveva voluto ampliare l’azienda (anzi, costruirne una nuova, una storia che merita un racconto tutto suo), e poi ancora tra il 1913 e il 1914, verso sud, verso la destra della raffigurazione. Un altro cancello, un altro muro di cinta, un’altra area a se stante. Una dozzina di campate a shed, una palazzina con l’altana, la ciminiera…
Una nuova fabbrica, con molte macchine nuove, per il secolo nuovo. E, soprattutto, per un assetto familiare non così semplice da gestire. E qui comincia un’altra storia…