Nei mattini assolati, appena oltre la soglia, lo sguardo è attratto verso l’alto da una luce speciale. Dalla sommità della scala si diffonde un bagliore opaco, perlaceo, che avvolge gli oggetti e ne attenua i contorni. La grande vetrata di Otto Maraini compie ogni volta un piccolo prodigio estetico. Dal 1958 i raggi del sole filtrano attraverso il cristallo inciso e, dopo aver catturato l’attenzione, si predispongono alla narrazione allegorica, ma non solo, di ciò che avviene appena oltre i muri dell’atrio.
Si ritrova spesso quel medesimo grigio luminoso nei campioni conservati nell’Archivio del Lanificio Vitale Barberis Canonico. Le sfumature sono molte di più di cinquanta… Se poi si ha modo, tempo e volontà si può cogliere qualche riferimento cromatico-cronologico sfogliando i campionari della stessa epoca. Per esempio, nel volume “Été 1957 Hiver 1957/58 Été 1958 – Robes fantaisie” della alsaziana Köechlin. E si può scoprire, come per la vetrata di Maraini, che il grigio non è solo grigio, ma è azzurrato, sbiancato, tratteggiato di nero, inciso a sua volta per creare effetti di contrasto e di prossimità. Per narrare in allegoria, come anche i tessuti sanno fare, servendosi degli accostamenti, dei chiaroscuri, delle ripetizioni. Della prima impressione che induce a osservare meglio e che lascia il posto alla comprensione del disegno.
Come accade con il trittico di Maraini, che si svela non appena gli occhi si sono abituati alla sua stessa opalescenza.
Andrea Bruno Jr nella biografia (l’unica esistente) di Otto Maraini scrive che “la sistemazione dell’ingresso per il settore dirigenziale del lanificio riflette in maniera evidente la sperimentazione di nuove linee progettuali: il disegno della scala, la sagoma degli arredi e i materiali di rivestimento della saletta d’aspetto rivelano l’abbandono di qualsiasi rimando allo stile vicino alla tradizione che aveva contraddistinto il lavoro di Maraini fino a pochi anni prima. Se ne ricava un’immagine molto essenziale ma non per questo meno equilibrata, in cui gioca un ruolo di protagonista la grande vetrata incisa con le fasi della lavorazione della lana…”. Forse, però, questo scarto stilistico rispetto alla tradizione non è poi così marcato. Maraini è come i creatori di tessuti, per i quali l’innovatività sta, spesso, nell’abilità di celare i rimandi ai più consolidati rassicuranti leitmotiv, giocando con le variazioni sul tema, piuttosto che sulle variazioni del tema.
Pagine di un volume dell’archivio storico di Vitale Barberis Canonico con campioni di tessuto, datato Estate 1958.
Quando arriva a Pratrivero, Maraini è alla fine della sua carriera, ma è ancora coerente a se stesso. Si è rinnovato e ha sperimentato, ma in fondo è rimasto ciò che era. Affascinato dalla classicità, dalle figure muliebri, dalla forza dei gesti e dalle suggestioni espressive delle citazioni: nella vetrata del Lanificio Vitale Barberis Canonico si trova un po’ di tutto, dalla statuaria greco-romana a Millet, da Botticelli a Dürer a Breton a… Maraini. L’autore cita altre sue opere biellesi, dove era sempre il filo a legare i soggetti, ma non queste tre icone anonime, bensì le Parche che, invece di tesserlo, alla fine, il filo, lo tagliano (ma anche qui le cesoie e le forbici sono presenti e non a caso molto prossime, a portata di mano…).
Le geometrie in dissolvenza rimarcano il ruolo centrale della filatura, tra un tosatore (con uno strano berretto “estraneo” all’ambiente, che è quello del Tessitore al telaio di Van Gogh) e una tessitrice. È una scelta particolare, così come quella del mosaico della facciata: perché celebrare un “passaggio intermedio” e non quello finale, quello che era il core business dell’azienda?
Rimane una sensazione di severa armonia, ma anche di forte musicalità. I tre stanno suonando. E l’arte di Otto Maraini è tale che la sua simbologia resta fortissima, ieratica, anche quando si presenta con l’immediatezza di una striscia da fumetto.
O come di quei versi bellissimi e terribili di Edgar Lee Masters che ricordano la tessitrice di Spoon River, la defunta vedova McFarlane, che ci compiange tutti.