“Vi sono molti animali, i quali, del pari che l’uomo, sanno farsi un’abitazione; ma non v’ha altri, che l’uomo che si vesta. L’esperienza più universale c’insegna, che tutte le nazioni regolate con leggi, in ogni tempo, e per tutto, hanno riguardato il costume di coprirsi, come una decenza, da cui non si può dispensarsi, anche quando l’aria più quieta, e più temperata non le obbligava a precauzione veruna. La ragione, e la conoscenza del disordine, che l’uomo pruova in se stesso, lo dispongono senza dubbio ad impiegare il soccorso delle pelli, e dei tessuti proprj a coprirlo. Ma la ragione vacillante, ed ineguale, come è, non avrebbe bastato per istabilire una sì costante uniformità. Ne i capricci dello spirito umano, nè i ragionamenti dei filosofi hanno giammai condotto le nazioni a un metodo generale. Il costume di vestirsi vien da più alto“. E cioè? Da dove, ovvero, da quando? “Si può dir dunque delle vesti quel, che si dice dei sacrifizi, e delle adunanze di religione: hanno comune l’origine nientemeno antica del mondo“. Abbigliamento e sentimento religioso, nati nello stesso remoto momento, sono quindi caratteri intrinseci dell’umanità. Così come gli uomini non possono non credere in un qualche dio, allo stesso modo non possono fare a meno di vestirsi. Due comportamenti insiti nell’essere umano che distinguono l’uomo dalle bestie.
L’abbé Pluche in una stampa della metà del XVIII secolo e il frontespizio dell’undicesimo tomo della sua opera tradotta in italiano e stampata a Venezia nel 1786.
Ne era convinto l’abate Noël-Antoine Pluche (1688-1761) che nel 1732 diede alle stampe gli otto volumi della sua opera più celebre “Spectacle de la nature, ou entretiens sur les particularités de l’histoire naturelle qui ont paru les plus propres à rendre les jeunes gens curieux et à leur former l’esprit“. Lo “Spettacolo della natura”, ristampato decine di volte e tradotto in tutta Europa, è una sorta di enciclopedia ante litteram, un lavoro a tutti gli effetti “enciclopedico” nel senso moderno del termine. L’abbé Pluche, in sospetto di giansenismo, era più un divulgatore che un prete e lo “Spectacle de la nature” costituisce soprattutto uno sforzo divulgativo e educativo. Ma che cosa intendeva divulgare e su che cosa educare quel geniaccio nativo di Reims? Beh, semplicemente, tutto. Don Pluche voleva illustrare, raccontare, spiegare il mondo e la natura nella loro interezza. Includendo ovviamente anche tutte le attività dell’uomo, come le lavorazioni della lana fino alla tessitura e la confezione degli abiti. Essendo un prodotto editoriale destinato al popolo (anche se poi fior di intellettuali, inclusi gli enciclopedisti/illuministi, se ne servirono senza remore riconoscendone ipso facto il valore tecnico e scientifico), per meglio farsi comprendere l’autore decise di utilizzare i figurini.
Tutti gli otto volumi originali e le innumerevoli edizioni successive sono un tripudio di tavole chiare ed esaustive. Quella era l’epoca delle illustrazioni essenziali, ma efficaci, “statiche”, ma allo stempo fortemente “dinamiche”, con gli uomini che interagivano con attrezzi e meccanismi. Quelli come Noël-Antoine Pluche vedevano già all’orizzonte il tempo delle macchine. Scrivevano da sacerdoti timorati di Dio, ma ragionavano da tecnologi e da scienziati. E davvero credevano in Dio, ma anche nel progresso e nella necessità di istruire la gente affinché il miracolo del progresso si compisse.
Le planche nei corridoi degli uffici dello stabilimento.
Aggirandoci tra i corridoi e le sale del Lanificio Vitale Barberis Canonico non possiamo far a meno di notare le piccole planche incorniciate che rappresentano vecchi filatoi e telai antichi, utensili e ingranaggi dell’Ancien Régime, costumi e posture da figurini tardo-barocchi. Ebbene, si tratta dell’apparato iconografico dello “Spettacolo della natura” del suddetto Pluche. Provengono dall’edizione napoletana del Cervone del 1747 o, più verosimilmente, da quella veneziana del Pezzana del 1786, entrambe in quattordici volumi. L’undicesimo “trattimento”, tutto dedicato a “L’abito dell’uomo“, si trova nel tomo undecimo.
Che siano dell’una o dell’altra, le incisioni appartengono a una ristampa preziosa e rigorosa, fresca e viva.
Due delle tavole della collezione.
E’ questo l’inizio di un piccolo percorso di scoperta di un mondo scomparso da due secoli e mezzo. Ma in quel mondo gli antenati dei tessitori di oggi devono riconoscere le proprie origini. E tra quegli antichi lanateri biellesi, che sarebbero serviti da modelli all’abbé Pluche, i Barberis Canonico c’erano già…